Di Raffaella Rizzardi
Un po' per professione, un po' per interesse personale, che nel mio caso fortunatamente sono molto allineati, ho sempre ritenuto che la comunicazione avesse un ruolo cruciale a livello interpersonale.
Comunicazione ad ogni suo livello, verbale, scritto, e metacomunicativo (movimenti del corpo, gesti, stati di tensione, toni di voce, espressioni), che è poi il livello che qualifica la comunicazione stessa (sta dicendo il vero o no?).
Per questo motivo non ho mai apprezzato il famoso detto “Scripta manent, Verba volant”. Troppo facile! Tutto manent. Ecco perché è importante prestare la giusta attenzione a quello che comunichiamo nei vari livelli di comunicazione.
Il ruolo della comunicazione nelle relazioni interpersonali è stato ampiamente studiato. Già nel secolo scorso, studiosi della comunicazione come Gregory Bateson ne hanno studiato ed evidenziato l’impatto anche a livello psichiatrico.
È per questo motivo che ho trovato davvero affascinante e molto interessante il focus sulla comunicazione, posto dall’approccio CNV, Comunicazione non violenta o anche comunicazione empatica di Marshall Rosenberg.
L’approccio di Rosenberg si applica ad ogni tipo di relazione che prevede la comunicazione, quindi anche nella comunicazione istituzionale di un’azienda verso i suoi stakeholders, e all’interno.
Questo si basa in particolare sull’importanza dell’empatia nelle relazioni umane, e sul ruolo cruciale del linguaggio e del modo in cui usiamo le parole per rimanere collegati empaticamente.
Questo approccio alla comunicazione, alla parola e all’ascolto, si racconta attraverso abilità di linguaggio e di comunicazione che rafforzano la nostra capacità di rimanere umani, anche in condizioni difficili. Come abbiamo visto, e lo stesso autore lo segnala, non contiene nulla di nuovo, integra aspetti noti da secoli, ma lo fa, a mio avviso, molto bene!
In particolare, trovo molto efficace la concezione di comunicazione empatica come comunicazione non giudicante.
Oggi, infatti, molti modelli culturali sono imperniati di confronto e giudizio, oltre che di effimero. Viviamo in un mondo di giudizi in cui le parole classificano e creano dicotomie tra le persone e le loro azioni.
Cosa fare quindi? O meglio, cosa dire?
Ci vuole esercizio, esercizio, ed esercizio, perché le nostre parole poi possono diventare risposte coscienti, basate su ciò che effettivamente percepiamo, sentiamo e vogliamo, per esprimere noi stessi con onestà e chiarezza.
Quando si fa chiarezza su questo, quando saremo in grado di esprimere quello di cui abbiamo bisogno, anziché emettere diagnosi o giudizi, potremo abilitare davvero l’empatia.